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Talvota, avremmo tutti bisogno di un’Epiphany.
No, non mi riferisco alla celebrazione del 6 gennaio, con le calze cariche come betoniere di cioccolata o dolci. Intendo un'”Epifania”, una rivelazione; quella che Joyce descrive così:

By an epiphany he meant ‘ a sudden spiritual manifestation, whether in the vulgarity of speech or of gesture or in a memorable phase of the mind itself.

J. Joyce – Stephen Hero

Perchè, dopotutto, ci stiamo atrofizzando.

Siamo diventati fruitori passivi di informazione, lasciamo che le notizie ci prendano a schiaffi, si prendano gioco di noi e si bevano pure un bel caffè nel frattempo.

Stiamo forsennatamente acquisendo una tendenza digitale, binaria. Siamo 1, siamo 0, ma dimentichiamo puntualmente che il mondo esterno ha infiniti valori perchè è analogico.

Siamo i sensazionalisti dell’ultima ora, pronti a vituperare su un evento, senza valutarne la fonte, la veridicità, senza contestualizzare; lo facciamo semplicemente per il gusto di alzare quel vessillo d’indignazione, con una bella spolverata di frustrazione ma che purtroppo è quantomeno instabile, perchè poggia su un’asta di ignoranza, che scricchiola sotto il peso della vergogna.

Siamo quelli che ora parlano di patriottismo, ma che si ricordano del tricolore solo quando è da dispiegare su una bara.

Siamo quelli che sputano sulla diversità, sull’ignoto, ma a cui piace cadere nel cliché di disconoscere gli aggettivi indefiniti: qualcuno e tanti diventano sinonimi e guai a ricordare quanti altri ne esistono, non importa, se costoro fossero aggettivi o pronomi con più melanina, tanto basterebbe per mandarli alla forca.

Siamo quelli che di fronte all’utilizzo della critica, abbiamo quell’espressione persa, vitrea, la stessa della Vanoni a Sanremo che chiede “Che premio è?“; piuttosto, preferiamo ripararci nella dialettica spicciola, quella dei salotti da saltimbanchi e voliamo su quell’aereo di idolatrìa, sempre pronti a proteggere i nostri beniamini rinfrancati da una fede marchiata Auditel.

Siamo ben protetti nella casa del nostro essere, un luogo che poco a poco diventa una prigione. Le pareti si stringono giorno dopo giorno e l’aria diventa sempre più rarefatta. Ma noi stiamo bene, ci troviamo a nostro agio, abbiamo il nostro vessillo e rifiutiamo così di cercare la chiave o quantomeno una via d’uscita.
Abbiamo dimenticato quanto può essere soddisfacente essere ignoranti. Esatto, perchè considerarlo un problema o un’offesa? L’ignoranza, quando è un motore (e non è un’autocommiserazione) porta con sè la ricerca, l’autocritica, la voglia di emergere ed uscire dalla prigione della convinzione.
Già… E’ così che torniamo bambini, con un animo che arde di curiosità, che osservano la realtà con una schermatura di fantasia ma che li aiuta a digerire quella terribile oggettività che mina alla nostra omeostasi spirituale.

Avremmo bisogno di un’Epiphany.
Avremmo bisogno di cercarla e assaporarne la dolcezza che essa riserva, con tutte quelle sfumature che rendano quegli 0 e 1, non entità esclusive, ma solo due infimi valori di una serie infinita.

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